domenica 7 settembre 2014

Circoncisione rituale maschile



Circoncisione rituale maschile, a rischio gli interventi fatti in clandestinità

Al contrario dell’infibulazione, la circoncisione rituale maschile è una pratica chirurgica che in Italia, purtroppo, non costituisce reato: eppure spesso è eseguita clandestinamente da personale non medico, con il rischio di insorgenza di complicanze.

Questo il tema di un convegno organizzato a Padova dall’Ordine dei medici con l’Associazione medica ebraica Italia. Anche in Italia la circoncisione maschile «rappresenta un fenomeno emergente in seguito alla presenza di minoranze straniere che per motivi religiosi, tradizionali, culturali o profilattici sottopongono neonati, bambini o adolescenti all’operazione» spiega Maurizio Benato, presidente dell’Ordine di Padova e vicepresidente Fnomceo.

Sotto il profilo legale, nelle culture che praticano la circoncisione rituale religiosa (ossia comunità ebraica, aderenti all’Islam e minoranze etniche africane) questo intervento è «un atto tradizionale di devozione che può essere oggettivamente ricondotto alle forme di esercizio del culto garantite dall'articolo 19 della Costituzione» precisa Benato, che aggiunge: «solo quando la circoncisione è motivata da ragioni terapeutiche o profilattiche deve essere realizzata da un medico». La circoncisione dei neonati ebrei può infatti essere eseguita anche da altre persone, competenti e responsabili della corretta effettuazione, oltre che rispettose di igiene e asepsi.

Se la circoncisione rituale è però richiesta per un bambino o un adolescente (caso frequente tra gli aderenti all'Islam) o per un adulto «l’operazione va assimilata a un vero e proprio piccolo intervento chirurgico e quindi deve essere effettuata da un medico».

Infatti le circoncisioni eseguite clandestinamente, non da medici esperti, senza idonei strumenti e garanzie di igiene, asepsi e assistenza, sono pericolose. Non essendo l’intervento a carico del Ssn, afferma Benato, accade che cittadini ebrei o statunitensi trovano presidi e strumenti finanziari adeguati per eseguire senza difficoltà l’intervento, mentre molte famiglie immigrate disagiate ricorrono a pratiche tradizionali in casa, esponendo il bambino a gravi rischi. Per arginare il problema, sono stati avviati progetti pilota in Piemonte, Liguria e Friuli Venezia Giulia, volti a garantire interventi eseguiti da personale qualificato.