lunedì 19 maggio 2014

Mutilazioni genitali femminili

Mutilazioni genitali femminili

L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce le mutilazioni genitali femminili come “forme di rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni o altre modificazioni indotte agli organi genitali femminili, effettuate per ragioni culturali o altre ragioni non terapeutiche”. Le mutilazioni genitali femminili costituiscono un atto estremamente traumatico ed hanno gravi conseguenze sulla salute fisica, psichica e sessuale delle bambine e delle giovani ragazze che le subiscono. Sono principalmente diffuse presso gruppi ed etnie dei Paesi dell'Africa Subsahariana e della penisola arabica, ma sono praticate anche in Europa e in Italia, per effetto dell'immigrazione. Diverse sono le motivazioni per cui vengono effettuate e variano a seconda della comunità etnica di appartenenza.

• Socio-culturali: la rimozione del clitoride permetterebbe alla donna di raggiungere la maturità sociale e divenire, a pieno titolo, componente della comunità di appartenenza;

• Igieniche e estetiche: ai genitali femminili esterni è associata un’idea di bruttezza e di sporcizia. La rimozione, più o meno radicale, delle parti esterne renderebbe la donna più bella da un punto di vista estetico e più pulita da un punto di vista igienico;

• Spirituali e religiose: le mutilazioni genitali femminili renderebbero le donne pure spiritualmente;

• Psicologiche e sessuali: le mutilazioni genitali femminili prevengono un’incontrollata attività sessuale, dovuta ad una crescita eccessiva del clitoride che aumenterebbe il desiderio sessuale. Preserverebbero la verginità delle donne e tutelerebbero gli uomini da una vita sessualmente dissoluta.



Le tipologie di mutilazioni genitali femminili e le conseguenze

Esistono diverse forme di mutilazioni genitali femminili che differiscono a seconda della comunità etnica di appartenenza. L'Organizzazione Mondiale della Sanità le ha classificate in quattro tipi:
• clitoridectomia: asportazione totale o parziale del clitoride e/o del prepuzio;
• escissione: parziale o totale rimozione del clitoride e delle piccole labbra, con o senza escissione delle grandi labbra;
• infibulazione: restringimento dell'orifizio vaginale con una chiusura creata tagliando e avvicinando le piccole e/o le grandi labbra, con o senza l'escissione del clitoride;
• tutte le altre procedure dannose per gli organi genitali femminili effettuate per scopi non medici quali, ad esempio, punture, perforazioni o incisioni del clitoride o delle labbra; allungamento per trazione del clitoride o delle labbra; abrasione del tessuto intorno all’orifizio vaginale o incisione della vagina; introduzione in vagina di sostanze corrosive o vegetali allo scopo di provocarne il sanguinamento o il restringimento.


Le mutilazioni genitali femminili hanno conseguenze fisiche, psicologiche e sessuali su chi le subisce che dipendono dalla gravità della mutilazione, dal modo in cui è stata praticata, dalle condizioni igieniche e dalla resistenza opposta. Le procedure di mutilazione, eseguite senza anestesia e in scarsissime condizioni igieniche, possono causare a livello fisico dolore acuto, emorragie, shock, infezioni, difficoltà a urinare, lesioni dei tessuti, tetano, setticemie e, in alcuni casi, anche la morte. Conseguenze a lungo termine comprendono il dolore cronico, infezioni pelviche, cisti, ascessi e ulcere genitali, infezioni del sistema riproduttivo, problemi durante la gravidanza e il parto, alterazioni della coscienza quando si avvicina il primo rapporto sessuale. A livello sessuale, le mutilazioni genitali femminili possono causare frigidità, mancanza di orgasmo o incapacità di avere rapporti vaginali. A livello psicologico, invece, possono comportare disturbi da stress post traumatico, malattie psicosomatiche, ansia, depressione, psicosi.


I dati sulle mutilazioni genitali femminili

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che sono tra 100 e 140 milioni le bambine, ragazze e donne nel mondo che hanno subito una mutilazione genitale. L’Africa è il continente in cui il fenomeno è più diffuso, con 91,5 milioni di ragazze di età superiore a 9 anni vittima di tale pratica. Il fenomeno è esteso anche in Medio Oriente (Iran, Iraq, Yemen, Oman, Arabia Saudita, Israele), nei Paesi asiatici come l’Indonesia e la Malesia e in alcune regioni dell’India. In particolare, in Egitto, Guinea, Sudan, e Somalia le donne tra i 15-49 anni sottoposte a mutilazioni genitali superano il 90%, in Burkina Faso, Etiopia e Mauritania tra il 70% e l’80%. L’aumento dei flussi migratori verso il mondo occidentale ha reso visibile anche nei Paesi Europei il fenomeno delle mutilazioni genitali femminili. Per quanto riguarda l’Italia, la pubblicazione della ricerca realizzata per conto del Dipartimento per le Pari Opportunità, nel 2009, ha consentito di avere una stima quantitativa dell’incidenza del fenomeno delle MGF nel nostro Paese: la ricerca ha infatti stimato che, su 110 mila donne provenienti dai Paesi in cui si praticano le mutilazioni genitali femminili e residenti in Italia (dati Istat, 2008), circa 35 mila hanno subito tale pratica. Inoltre, sulle circa 4.500 bambine e giovani con meno di 17 anni originarie di questi stessi Paesi o nate in Italia da genitori provenienti da questi Paesi, si stima che le potenziali vittime di mutilazioni genitali siano circa il 20%.

Le mutilazioni genitali femminili vengono praticate principalmente su bambine tra i 4 e i 14 anni. Tuttavia, l’età può essere ancora più bassa: in alcuni Paesi vengono operate bambine con meno di un anno di vita, come accade nel 44% dei casi in Eritrea e nel 29% dei casi nel Mali, o persino neonate di pochi giorni nello Yemen (dati Unicef).

Il tipo di intervento mutilatorio varia a seconda del gruppo etnico di appartenenza: il 90% delle mutilazioni genitali femminili praticate è di tipo escissorio, vale a dire avvengono con taglio e/o rimozione di parti dell'apparato genitale della donna, mentre un decimo dei casi si riferisce all'azione specifica della infibulazione che ha come scopo il restringimento dell'orifizio vaginale e può, a sua volta, essere associata anche a un'escissione.




La normativa sulle mutilazioni genitali femminili

In Italia, la Legge 9 gennaio 2006, n. 7, recante "Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile", detta le misure necessarie per prevenire, contrastare e reprimere le mutilazioni genitali femminili, quali violazioni dei diritti fondamentali all’integrità della persona e alla salute di donne e bambine.

Riguardo alle disposizioni penali, la legge introduce l’art. 583 bis del Codice penale riguardante le pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili. Chiunque “cagiona una mutilazione genitale femminile in assenza di esigenze terapeutiche, è punito con la reclusione da 4 a 12 anni” mentre chiunque “provoca, in assenza di esigenze terapeutiche e al fine di menomare le funzioni sessuali, lesioni agli organi femminili genitali è punito con la reclusione da 3 a 7 anni”. In ambedue i casi, la pena è aumentata di un terzo quando le pratiche sono commesse a danno di un minore o con finalità di lucro. Lo stesso articolo prevede il principio dell’extraterritorialità ogniqualvolta il fatto è commesso all’estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia o a danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia.

La legge n. 172, del 1 ottobre 2012, con cui l’Italia ha ratificato la Convenzione di Lanzarote, prevede l’inserimento di un ulteriore comma all’articolo 583-bis, secondo cui la condanna prevista per questo reato, nel caso in cui sia commesso dal genitore o dal tutore della bambina vittima, comporta la decadenza dall’esercizio della potestà genitoriale oltre che l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno.

L’articolo 583 ter del Codice penale prevede per il personale medico che esegue una mutilazione genitale la pena accessoria dell’interdizione dalla professione da tre a dieci anni. La sentenza di condanna viene comunicata all’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri.

Sotto il profilo preventivo, la legge stabilisce che il Dipartimento per le Pari Opportunità acquisisca a livello nazionale e internazionale, le informazioni sulle attività di prevenzione e repressione nonché sulle strategie di contrasto alle mutilazioni genitali femminili, programmate o realizzate da altri Stati. Ai fini della prevenzione in Italia delle mutilazioni genitali femminili, sono demandati al Ministro con delega alle Pari Opportunità, d’intesa con altre amministrazioni pubbliche, i compiti di: predisporre campagne informative rivolte agli immigrati provenienti da Paesi in cui si praticano le mutilazioni, dirette a diffondere la conoscenza dei diritti fondamentali della persona e del divieto vigente in Italia delle pratiche di mutilazione; promuovere iniziative di sensibilizzazione dell'opinione pubblica, in collaborazione con centri sanitari, organizzazioni di volontariato e organizzazioni no profit; predisporre corsi di informazione per le donne infibulate in stato di gravidanza, finalizzati a una corretta preparazione al parto.

L’articolo 5 della Legge 9 gennaio 2006, n. 7 istituisce il numero verde contro le mutilazioni genitali femminili 800.300.558 attivo presso il Ministero dell'Interno con l’obiettivo di raccogliere segnalazioni da parte di chiunque venga a conoscenza dell’effettuazione, sul territorio italiano, delle pratiche di mutilazione genitale femminile e di fornire informazioni sulle organizzazioni di volontariato e sulle strutture sanitarie che operano presso le comunità di immigrati provenienti dai Paesi dove sono effettuate tali pratiche.

A livello europeo, è direzione comune dei Paesi occidentali contrastare la pratica delle mutilazioni genitali femminili, ritenuta una violazione dei fondamentali diritti umani all’integrità della persona e alla salute delle bambine e delle donne. Le politiche attuate variano da Paese a Paese: alcuni, come la Svezia e la Gran Bretagna, hanno creato una legislazione specifica dove l’atto di mutilazione genitale e l’istigazione a commetterlo sono considerati un reato specifico. In altri Stati, come la Norvegia e la Grecia, l’interpretazione giurisprudenziale fa rientrare la pratica di mutilazione genitale femminile in fattispecie di reato diverse, quali lesioni gravi o gravissime, tentato omicidio o, in caso di morte della vittima della mutilazione, omicidio.

Le mutilazioni genitali femminili violano le principali convenzioni internazionali relative ai diritti umani, ai diritti delle donne e ai diritti del fanciullo. In particolare:

• Dichiarazione Universale dei diritti umani (1948): proclama il diritto di ogni essere umano a vivere in condizioni tali da godere di buona salute e assistenza sanitaria e stabilisce il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della persona;
• Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (1981): condanna ogni discriminazione sulla base del sesso che pone la donna in una condizione di inferiorità rispetto all’uomo;
• Carta africana dei diritti umani e dei popoli (1981): afferma che gli esseri umani sono inviolabili e, all’art. 5, dichiara che ogni individuo ha il diritto al rispetto della dignità insita in ogni essere umano e al riconoscimento dello status legale e proibisce ogni forma di trattamento che viola tale dignità;
• Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia (1989): offre strumenti di prevenzione delle mutilazioni genitali femminili e all’art. 24 stabilisce che gli Stati devono prendere tutte le misure efficaci ed appropriate per abolire le pratiche tradizionali pregiudizievoli alla salute del fanciullo; l’art. 37 afferma che nessun bambino deve essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani e degradanti;
• Carta africana sui diritti e il benessere del fanciullo (1990): raccomanda agli Stati di eliminare pratiche sociali e culturali pericolose che influenzano il benessere, la dignità, la normale crescita e lo sviluppo del bambino;
• Raccomandazione sull’uguaglianza dell’uomo e della donna nel matrimonio e nella famiglia (1994): ad integrazione della Convenzione ONU per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione delle donne, ha riconosciuto il diritto alla donna di programmare il numero dei figli;
• Protocollo alla Carta africana sui diritti umani e dei popoli sui diritti delle donne in Africa (Protocollo di Maputo, 2003): impegna gli Stati ad assicurare il diritto delle donne alle salute, compresa la salute sessuale e riproduttiva;
• Dichiarazione di Ouagadougou (2008): chiede l’adozione di leggi nazionali che condannino le mutilazioni dei genitali femminili e una loro armonizzazione a livello mondiale.

L’Italia costituisce un interlocutore privilegiato con i Paesi africani che hanno presentato la Risoluzione sulle MGF all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, adottata il 26 novembre 2012 e co-sponsorizzata da oltre 110 Paesi (inclusi 50 Paesi africani). In questa cornice si inserisce anche l’aver promosso e organizzato un side event sull'eliminazione delle MGF durante la 56° sessione della Commissione sulla Condizione Femminile (CSW del 2012), che si va ad aggiungere a quelli già realizzati in occasione delle passate sessioni del 2010 e del 2011.

L’impegno dell’Italia su questo tema è stato più volte sottolineato nel Report del Segretario Generale del Consiglio economico e sociale dell'ONU sulle misure adottate dagli Stati membri per porre fine alle pratiche di mutilazione genitale femminile (pubblicato nel dicembre 2011).




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