sabato 31 maggio 2014

Dal Consiglio d’Europa un taglio netto alla circoncisione

Dal Consiglio d’Europa un taglio netto alla circoncisione

Da tempo ci si interroga ormai sulla liceità di circoncisione maschile e mutilazione genitale femminile, in quanto pratiche rituali che comportano menomazioni fisiche imposte ai bambini che non possono decidere. Una nuova sensibilità che arriva soprattutto nei paesi del nord Europa, dove è cresciuta la componente islamica e il problema si fa sentire tra le comunità di immigrati. L’anno scorso il tribunale di Colonia, in Germania, aveva paragonato la circoncisione maschile a una aggressione. Anche in Norvegia e in Svizzera ci si era interrogati sul tema, suscitando l’opposizione congiunta della comunità musulmana e di quella ebraica, che hanno parlato di violazione della libertà religiosa.
impedito ai medici di effettuare una circoncisione rituale imposta a un bambino
Il tema continua a far discutere in Germania, dove la corte di Hamm, nel Nord Reno-Vestfalia, ha di recente impedito ai medici di effettuare una circoncisione rituale imposta a un bambino di sei anni dalla madre, nata in Germania e di origine kenyota. Prima di visitare il Kenya, dove almeno l’80% dei maschi è circonciso, la donna voleva che il figlio fosse sottoposto alla pratica. Secondo la sentenza del tribunale la madre non avrebbe però considerato il danno psicologico che ciò avrebbe arrecato. In precedenza un tribunale di Dortmund aveva suggerito che fosse il locale ufficio per i minori a dover avere l’ultima parola su eventuali circoncisioni.
Ora arriva anche il parere del Consiglio d’Europa, che ha approvato un testo in cui si considera per la prima volta la circoncisione alla pari delle mutilazioni genitali femminili. Il documento è stato approvato dall’assemblea parlamentare del Consiglio con 77 sì, 19 no e 12 astensioni. Non chiede la messa al bando della circoncisione, ma la considera una violazione dell’integrità fisica dei minori. Piuttosto, vengono contestate le pratiche dei tatuaggi e dei piercing su minori, nonché gli interventi medici su bambini intersessuali. Il tutto all’insegna della definizione di criteri chiari per il rispetto delle norme sanitarie per quegli interventi che non hanno una motivazione medica. Agli stati membri viene chiesto di legiferare su questo tipo di operazioni, in particolare per garantire che il minore non debba subirle se non è in grado di dare il suo consenso.
No circoncisione, no infibulazione
Critiche a questa presa di posizione europea sono arrivate non a caso dalla Turchia e da Israele. Nel primo paese c’è in questi anni un ritorno di fiamma del conservatorismo islamico e il governo di Erdogan sta smantellando di fatto la laicità dello Stato: ultimo passo, è stato tolto il bando del velo per le impiegate pubbliche. Nel secondo pesa la forte identità nazionale e religiosa, considerato che la circoncisione è un tradizionale obbligo per gli ebrei. Secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità circa il 30% dei maschi sopra i 15 anni ha subito la circoncisione, di cui 7 su 10 perché provenienti da famiglie musulmane.
Finalmente ci si comincia a rendere conto anche a livello internazionale di come sia difficile sostenere allo stesso tempo che infibulazione ed escissione di cui sono vittime le bambine siano da condannare, mentre sulla circoncisione dei maschietti per finalità rituali si debba chiudere un occhio. Si continua a dare per scontato che l’appartenenza religiosa o etnica debbano essere tramandate in famiglia anche con pratiche che marchiano il corpo delle persone, cosa che è una palese negazione della libertà di scelta. Non a caso, con la secolarizzazione non sono pochi quelli che oggi da adulti poi rifiutano la circoncisione, per ripristinare il tessuto con pratiche note come foreskin restoration.
L’appartenenza a una confessione religiosa deve essere sempre una libera scelta
L’appartenenza a una confessione religiosa deve essere sempre una libera scelta consapevole, quindi adulta o quantomeno adolescenziale. Sebbene non invasivo a livello fisico, anche il battesimo sui bambini rappresenta un marchio (un “sigillo indelebile” per la Chiesa cattolica) e una violazione della libertà di scelta. Un marchio riconosciuto dallo Stato e con effetti civili, perché la sentenza della corte d’appello di Firenze sul caso dei “concubini di Prato” on è mai stata contraddetta. Con conseguenze pratiche, come nei casi di coppie in cui uno dei due partner impone battesimo, riti o educazione religiosa ai figli in disaccordo con l’altro, in cui la giurisprudenza dà ragione a chi è religioso.
In una società sempre più plurale e globalizzata come la nostra, il segno di un’appartenenza diventa marchio della differenza, spesso anche della discriminazione e della contrapposizione rispetto al resto della società, la chiusura in un ghetto identitario. Con tutti gli strascichi a livello personale e i turbamenti che possono conseguirne. Purtroppo, questa appartenenza viene imposta, materialmente, anche sulla pelle dei bambini. Ma è ora di dare un taglio a queste pratiche.
La redazione