domenica 9 settembre 2012

Il lamento del prepuzio



Il lamento del prepuzio di Shalom Auslander

"È lunedì mattina, sei settimane dopo che io e mia moglie abbiamo saputo che lei è incinta del nostro primo figlio, e io sono fermo a un semaforo. Il piccolo non ha alcuna probabilità di farcela. È un trucco. Io questo Dio lo conosco, lo so come funziona. Mia moglie abortirà, oppure il bambino morirà durante il parto, oppure mia moglie morirà durante il parto, oppure moriranno tutti e due durante il parto, oppure nessuno dei due morirà e io penserò di averla scampata, e poi mentre li riporterò a casa in macchina dall’ospedale avremo uno scontro frontale con un automobilista ubriaco, e moriranno tutti e due, mia moglie e mio figlio, al pronto soccorso proprio di fronte alla stanza dove ci trovavamo solo pochi minuti prima, felici, vivi e pieni di speranze.
Sarebbe proprio da Lui."


Mi piacciono le storie intrise di umorismo ebraico, in fondo sono molto comprensibili per gli italiani: una certa crudeltà, il desiderio di colpire l'altro, di fare emergere la propria brillante e caustica intelligenza, la presenza costante di un Dio punitivo e feroce... Noi siamo convinti anche che parte importante della mentalità ebraica sia l'autoironia, perché vediamo i film di Woody Allen o dei fratelli Marx, i serial di Jerry Seinfeld e Larry David, o leggiamo i libri di Moni Ovadia e ascoltiamo le storielle ebraiche che ci racconta. Ma non è sempre così, esattamente come non lo è per gli italiani.

Ci sono persone come Shalom Auslander che guardano la propria vita con distacco critico e sanno ridere anche di eventi tragici, ma ci sono anche quelli - nel suo libro sono protagonisti -, che di ridere non hanno alcuna voglia e non capiscono proprio le battute ciniche e blasfeme per le loro orecchie.

Sono i genitori che educano i figli, gli insegnanti che istruiscono gli allievi, i religiosi che formano le coscienze, tutti con una visione così tetra, punitiva, pessimistica dell'esistenza da forgiare persone infelici, forse con lo scopo inconscio di tramandare di generazione in generazione la propria pena più che per portare davvero la parola di Dio. E che Dio, comunque!
È in questo mondo che vive Shalom, un ragazzino come molti altri, vivace, intelligente, curioso e anche equilibrato e amante della serenità familiare.
Con un padre che si sente un fallito, spesso ubriaco e talvolta violento e una madre che può vantare una famiglia d'origine ortodossa che conta rabbini di grande livello, Shalom cresce - accanto al fratello più irrequieto e testardo -, frequentando una scuola religiosa e confrontandosi ogni giorno con le regole e i dettami di una religione che gli appare sempre più punitiva. Violare quelle regole (cosa che gli accade con una certa frequenza) è doloroso, e alla violazione segue un senso di colpa faticoso da superare, se non con l'ironia che si fa strada dentro il suo cuore.
Il ragazzino cresce, diventa ribelle, si sposa, avrà un figlio maschio (desiderava tanto una femmina, ma naturalmente... ) e di fronte alla scelta della circoncisione di quella creaturina indifesa torna il Dio incombente e sadico in cui, volente o nolente, lui crede e che lo tormenterà tutta la vita.



Sdrammatizzare, ecco il segreto: sdrammatizzare i litigi in famiglia, le questioni con gli amici, le punizioni divine.
Ma si impara poco per volta a farlo, con grande allenamento e la possibilità di ricadere nell'abisso della paura di una ritorsione da parte di quel Dio che invece di amarci sembrerebbe soprattutto volerci torturare, anche - e in questo caso proprio non ci si può fare nulla - gratuitamente... perché ce l'ha proprio con noi.

A tradurre - molto bene sottolineiamo - questo romanzo, Elettra Caporello, alla sua prima esperienza narrativa. Da oltre vent’anni, infatti, il suo lavoro è adattare film stranieri per il doppiaggio italiano. In una recente intervista per La nota del traduttore scrive:
"È uno spirito caustico, intriso di pessimismo, molto pungente. E qualche volta difficile da rendere bene in italiano. Io, per quanto riguarda i film di Woody Allen, ho sempre usato una specie di trucchetto che ho applicato anche per Il lamento del prepuzio. Traduco dall’ebraico-newyorkese in romanesco, e poi lavoro sul risultato fino a raggiungere una battuta italiana accettabile. Infatti lo spirito dei miei concittadini si avvicina molto a quello degli ebrei newyorkesi, intriso com’è di cinismo e apparente crudeltà."

Titolo originale: Foreskin's Lament

Halom Auslander – Il lamento del prepuzio
267 pag., 15,60 € - Edizioni Guanda 2009 (Narratori della Fenice)



Le prime righe del Libro in ESCLUSIVA

Quando ero bambino, genitori e insegnanti mi parlavano di un uomo che era molto potente. Mi dicevano che poteva distruggere il mondo intero. Mi dicevano che poteva sollevare le montagne. Mi dicevano che poteva dividere il mare. Era importante mantenerlo di buonumore. Quando obbedivamo a quanto ci aveva comandato, gli piacevamo. Gli piacevamo talmente tanto che uccideva quelli a cui non piacevamo. Ma quando non obbedivamo a quanto ci aveva comandato, non gli piacevamo. Ci odiava. Certi giorni ci odiava talmente tanto che ci uccideva. A volte invece lasciava che altri ci uccidessero. Questi giorni noi li chiamiamo « giorni di festa». Per Purim, ci ricordiamo di quando cercarono di ucciderci i persiani. Per Pesach ci ricordiamo di quando cercarono di ucciderci gli egiziani. Per Chanukkah, ci ricordiamo di quando cercarono di ucciderci i greci.

«Sia Egli benedetto» pregavamo.
Per crudeli che fossero queste punizioni, non erano niente in confronto alle punizioni che ci elargiva Lui in persona. Allora arrivavano carestie. Arrivavano diluvi. Arrivava furibonda la vendetta. Hitler avrà pure sterminato gli ebrei, ma questo signore ha inondato il mondo.
Ecco la canzoncina su di lui che cantavamo all'asilo:

Dio è qui
Dio è lì
Dio è ovunque
In ogni dì


Poi, merenda e un sonnellino agitato.
Sono stato allevato come un vitello nella cittadina ebreo-ortodossa di Monsey, nello stato di New York, dove era proibito mangiare insieme vitello e latticini. Se avevi mangiato vitello, ti era proibito mangiare latticini per sei ore. Se avevi mangiato latticini, ti era proibito mangiare vitello per tre ore. Era proibito mangiare maiale sempre, o per lo meno fino all'arrivo del Messia. Solo allora, ci aveva insegnato il rabbino Napier in quarta, i malvagi sarebbero stati puniti, i morti sarebbero resuscitati, e i maiali sarebbero diventati kosher.

«E vai! » dissi dando il cinque al mio miglior amico, Dov.
«Dovresti riservare questo entusiasmo» disse il rabbino Napier, sbirciando con disgusto al di sopra degli spessi occhiali cerchiati di corno « per il Giorno del Giudizio. »

Gli abitanti di Monsey erano terrorizzati da Dio, e mi insegnarono a essere anch'io terrorizzato da Lui. Mi raccontarono di una donna di nome Sara che aveva ridacchiato, e perciò Lui l'aveva resa sterile. Di un uomo di nome Giobbe che era triste e aveva chiesto: «Perché?» e allora Dio era sceso sulla terra, e afferrando Giobbe per la collottola aveva ululato: «Ma chi cazzo ti credi di essere?» Di un uomo di nome Mosè che era fuggito dall'Egitto e aveva vagato nel deserto per quarantenni in cerca di una Terra Promessa, e che Dio aveva ucciso proprio prima che la raggiungesse - come cadere di faccia sulla linea del traguardo - perché Mosè una volta, quarant'anni prima, aveva peccato. D suo delitto? Aver percosso una roccia. E così all'inizio dell'autunno, quando le foglie soffocavano, cambiavano colore e cadevano morte, gli abitanti di Monsey si riunivano nelle sinagoghe della città e si domandavano, a voce alta e all'unisono, in che modo Dio li avrebbe uccisi. Chi vivrà e chi morirà, pregavano. Chi al tempo predestinato e chi prima del tempo. Chi con l'acqua e chi col fuoco, chi con la spada, chi con le belve, chi per carestia, chi per la sete, chi per la tempesta, chi per la peste, chi e chi per lapidazione.

Poi, pranzo e un sonnellino agitato....